Il costo del cibo “gratuito”
Il costo del cibo “gratuito”
Un affiliato ci ha recentemente chiesto come avviare una piccola distribuzione di alimenti destinata a giovani extracomunitari disoccupati. A prima vista, l’intento sembra semplice e nobile. Tuttavia, nel momento in cui abbiamo analizzato l’iter necessario per accedere alle derrate alimentari gratuite, è emersa una realtà sorprendentemente complessa: il percorso burocratico è talmente articolato da scoraggiare chiunque non disponga di solide risorse economiche e organizzative.
Il costo del cibo “gratuito”, infatti, non è economico ma amministrativo, umano e sociale.

Requisiti tipici per ottenere derrate alimentari
Per poter distribuire alimenti a titolo gratuito, anche con le migliori intenzioni, occorre rispettare una serie di requisiti precisi e spesso impegnativi:
- Dimostrare almeno 12 mesi di attività benefica documentata da terzi, con prove concrete di distribuzioni effettuate;
- Disporre di una sede idonea, conforme alle norme igienico-sanitarie, in grado di garantire lo stoccaggio e la conservazione sicura dei prodotti;
- Essere regolarmente iscritti come Ente del Terzo Settore, con tutte le responsabilità e gli obblighi amministrativi che ne conseguono.
Questi requisiti, seppur pensati per garantire trasparenza e sicurezza, rappresentano una barriera quasi insormontabile per chi desidera semplicemente iniziare ad aiutare.
Il paradosso della solidarietà burocratica
Il cuore del problema risiede in un paradosso evidente: per ottenere alimenti gratuiti devi poter dimostrare di averli già distribuiti per almeno un anno. Ma come si può costruire una reputazione senza i mezzi per farlo?
Chi intraprende questa strada si trova quindi di fronte a due opzioni: anticipare fondi propri per un intero anno – sostenendo nel frattempo anche i costi di una sede e delle relative certificazioni – oppure rinunciare all’iniziativa.
Molti possiedono entusiasmo, tempo e voglia di aiutare; pochi, però, dispongono del capitale necessario per sostenere un sistema che sembra escludere chi è animato solo dal desiderio di fare del bene.
La soluzione praticabile oggi
Di fronte a questo scenario, una via concreta esiste. Chi non può avviare un banco alimentare autonomo può
collaborare con i centri di distribuzione già attivi, accompagnando le persone bisognose nei loro percorsi di accesso.
Aiutare i giovani con le iscrizioni, seguire le pratiche burocratiche, ritirare insieme i pacchi alimentari e consegnarli a domicilio: è un approccio meno simbolico ma immediatamente efficace.
In questo modo,
il costo del cibo “gratuito” non diventa un ostacolo, ma una responsabilità condivisa tra chi vuole aiutare e chi ha già una struttura consolidata.
La solitudine dei generosi
Il nostro sistema sociale, pur basandosi sulla solidarietà, finisce spesso per penalizzare i volontari. Lo Stato delega loro l’impegno dell’assistenza, ma li circonda di diffidenza e di vincoli formali.
La burocrazia, invece di sostenere la generosità, tende a proteggere sé stessa: favorisce chi è già strutturato e scoraggia chi vorrebbe iniziare.
Così, l’aiuto diventa un privilegio regolato e non un diritto accessibile. E quando la fame bussa alla porta, non può attendere dodici mesi di carte, moduli e procedure.
La fame non compila moduli — e proprio per questo serve una burocrazia che sappia distinguere tra chi abusa e chi, semplicemente, desidera donare.









